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      O piuttosto, quel movimento, che avea aria di reazione, sedati i primi bollori, era in fondo la stessa rivoluzione, che ammaestrata dall'esperienza moderava e disciplinava se stessa. I disinganni, le rovine, tanti eccessi, un ideale così puro, così confidente, profanato al primo contatto col reale, tutto questo dovea fare una grande impressione sugli spiriti e renderli meditativi. La reazione era il passato ancora vivo nelle moltitudini, assalito con una violenza che tirava in suo favore anche gl'indifferenti, e che ora rialzava il capo con superbia di vincitore. L'esperienza ammaestrò che il passato non si distrugge con un decreto, e che si richiedono secoli per distruggere l'opera di secoli. E ammaestrò pure che la forza allora edifica solidamente, quando sia preceduta dalla persuasione, secondo quel motto di Campanella che «le lingue precedono le spade». Evidentemente la rivoluzione aveva errato, esagerando le sue idee e le sue forze, ed ora si rimetteva in via con minor passione, ma con un senso più corretto del reale, confidando più nella scienza che nell'entusiasmo. Che cosa era dunque quel movimento del secolo XIX? Era lo stesso movimento del secolo XVIII, che dallo stato spontaneo e istintivo passava nello stato di riflessione, e rettificava le posizioni, riduceva le esagerazioni, acquistava il senso della misura e del limite, una coscienza politica. Era lo spirito nuovo che giungeva a più chiara coscienza di sé, e prendeva il suo posto nella storia. Chateaubriand, Lamartine, Victor Ugo, Lamennais, Manzoni, Grossi, Pellico, erano liberali non meno di Voltaire e Rousseau, di Alfieri e Foscolo.


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La letteratura italiana nel secolo XIX
(Volume Primo) Alessandro Manzoni
di Francesco De Sanctis
pagine 420

   





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