Rinasce la malinconia, quella soavità nello strazio, quel cielo nella terra, quel paradiso nell'inferno, di cui si vede un preludio appena indicato e senza carattere ne' versi amabili del Pindemonte. Qui la malinconia ha il suo carattere, è il naturale effluvio di tutto un mondo poetico. Ed è di una chiarezza italiana, avendo la sua base non in quel vago de' sentimenti e dei desiderii, che fu detto romanticismo, e di cui vedi le fluttuazioni e le ombre nelle melodie del Lamartine, ma in un concetto ben determinato del nuovo mondo poetico, in quel lievito del terrestre anche tra le gioje celesti. Ermengarda morente, nella cui immaginazione si volve come un fantasma la regina cinta la chioma di gemme, amata e amante, è non meno interessante di Laura, che desidera in cielo l'amato e il suo bel velo. È un terrestre sparente, a quel modo che Ermengarda medesima è una creatura sparente che ti vive innanzi nel momento appunto che muore. È uno sparire come un bel tramonto di sole, nunzio al colono di più sereno dì. E quel dì più sereno visto in lontananza inviluppa la figura del suo manto di porpora senza poter cancellare dalla mesta faccia le memorie della terra. Anzi la poesia è lì, in quelle memorie, in quel terrestre che si pone e si afferma nel momento del suo sparire. E sarebbe uno strazio, accompagnato con la disperazione e la bestemmia, se intorno alla morente non aleggiassero le immagini di una seconda vita. Questo antagonismo così drammatico i nostri antichi rendevano sensibile con quella loro battaglia dell'angiolo buono e del cattivo intorno al letto della morte.
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