Le lagrime commovono più, quando sono ben preparate e a lunghi intervalli. Indi l'effetto dell'ultimo atto.
Adunque scene ben distribuite, caratteri ben graduati, patetico bene apparecchiato. Goethe ha ragione contro i critici classici. Non ci è un metodo unico ed immutabile in arte. Anche Manzoni ha il metodo suo, e questo metodo è buono. Non è metodo inglese, né tedesco, né francese e neppure italiano, non è metodo classico, e non romantico, è il metodo di Manzoni, dove la libertà della teoria è temperata nella pratica dalle condizioni teatrali, dalle abitudini e dai pregiudizii degli spettatori. È una libertà «moderata», la meno lontana dalle abitudini classiche, generalizzate, alzate a regola, divenute il «buon gusto», parola formidabile, con la quale si rispondea a tutte le novità, a tutte le obbiezioni.
La lettera a Chauvet di Manzoni e gli articoli di Goethe pongono fine alla questione di metodo. Si può conseguire tutti gli effetti drammatici con un metodo che non sia quello di Racine e di Alfieri. L'artista si forma lui il suo metodo, e non lo cerca già nella sua immaginazione, lo cerca nel suo argomento. Il metodo è la cosa stessa nel suo «divenire».
Pure un buon metodo non ti dà ancora una buona tragedia. Ben congegnare le parti, ben graduare i caratteri, bene apparecchiare gli affetti, trovar certi contrasti, gittar certe ombre, sono finezze di una conscia intelligenza. Hai innanzi una intelligenza superiore, non hai ancora il poeta. Può essere una sapiente combinazione quale ce la potrebbe dare anche un critico o un filosofo, anche Gian Vincenzo Gravina.
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