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      Il Coro rimane un «a parte», lo sfogo del poeta innanzi ad una rappresentazione che fa sanguinare il suo cuore di cristiano e di patriotta. A poco a poco quel Coro si è sciolto dal tutto, al quale apparteneva, ed è rimasto un bel pezzo lirico, gl'Inni in continuazione, con quell'accento e con quella intonazione un po' rettorica, che si purifica per via e si alza alla semplicità e verità del sentimento.
      Il Coro è dunque un primo mezzo escogitato dal poeta per situare il suo ideale. E il Coro fa stacco, ha interesse e fine proprio, non entra nella trama, scoppia in occasione del dramma, ma non vi penetra, non ne modifica l'andamento.
      E ci è un altro mezzo. Il poeta crea lui un personaggio, e lo gitta in mezzo al dramma, come voce o presentimento di un mondo più civile, conforme al suo ideale. A questa concessione dobbiamo il Marco, l’Adelchi, l'Ermengarda.
      Marco è un'immagine appena abbozzata. Lo schizzo diventò figura e si chiamò Adelchi. È l'ideale dannato a vivere in tristi tempi, che vi si dibatte e vi si consuma. E se questo ideale avesse vera energia, se potesse impegnare una lotta seria con la sua età, come Savonarola, sarebbe esso il dramma, l'invenzione inghiottirebbe la storia. Ma poiché un interesse storico v'ha pur da essere, il povero ideale è costretto a lasciar passare la storia, e a giacere sotto il peso di quella con molti lamenti e con poca resistenza. Marco o Adelchi che sia, l'ideale rimane secondario innanzi alla grandezza degli avvenimenti, e si lascia tirare da quelli, invano ripugnante.


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La letteratura italiana nel secolo XIX
(Volume Primo) Alessandro Manzoni
di Francesco De Sanctis
pagine 420

   





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