Ciò che è morto, è appunto la sua esagerazione, quella sua confusione fra il vero ed il reale, o, se piace la parola reale, tra il reale artistico e il reale naturale e storico, o per dirlo in una parola, il reale positivo, l'esistente e l'avvenuto. Natura e storia non è in alcun modo il fine dell'arte, quasi che l'arte debba riprodurre o spiegare o perfezionare quella e questa, ed opera d'arte perfettissima sia quella dove l'illusione o l'imitazione sia più simile alla realtà. L'arte avrebbe così un fine impossibile a conseguire, perché, posta pure una imitazione perfettissima, la sarà sempre una imitazione, sempre inferiore ad essa realtà. Certo possiamo ammirarla come industria dell'ingegno umano, quali sono i fiori artificiali, ma sarà sempre un gioco, che ricorda gl'inizii dell'arte, non sarà mai niente di serio e di autonomo. Natura e storia non sono che un semplice materiale, di cui l'arte si vale pei fini suoi, a quel modo che l'industria si vale delle materie prime per trasformarle e farne «un'altra cosa». Né è necessario che l'arte tragga il suo materiale dall'esistente o dall'avvenuto. Può crearsi essa un materiale tutto o parte d'invenzione, può alterare la storia, può modificarla come le aggrada. Qui è vero il detto che il fine giustifica i mezzi. Tal fine, tal materiale. Può senza dubbio associarsi anche la storia e mantenerla nella sua integrità, essere tragedia storica, romanzo storico, imporsi volontariamente per limite la storia, ma a patto che la storia resti un materiale esattamente riprodotto, sempre solo e semplice materiale, lavorato ad altro fine che non sia la storia.
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