Il problema era mal posto; pure la sincerità e l'ardore della ricerca e la serietà de' tentativi, quella tensione dello spirito intorno a nuove fonti e a nuovi assetti dell'arte, sono sempre stimoli non ultimi e non deboli nelle produzioni geniali. L'opera mossa da certi preconcetti li oltrepassa, viola gli arbitrarii limiti personali e intenzionali, e riesce a risultati generali e permanenti, che non erano nella mente dell'Autore.
Manzoni voleva fare un romanzo, che avesse a un tempo un grande interesse storico e un grande interesse religioso e morale; voleva quel medesimo che volle nel Carmagnola e nell'Adelchi. Ivi il mondo storico è di tale importanza, che ha i suoi fini in sé medesimo, e non lascia che parti accessorie ed episodiche a Marco, Ermengarda, Adelchi, ideali passivi e queruli, fuori di posto in un mondo che non li comprende, perciò lirici, punto drammatici. Accanto a una storia ferrea senti in questi ideali e ne' Cori le voci di un mondo divino, impotente a trasformarla, rimasto staccato e malinconico. Non ci è intima fusione, e non ci è serio antagonismo, non ci è il dramma; e che importa? Ci è appunto l'accento scisso de' tempi di Foscolo e di Leopardi, ideali patiti, predestinati martiri, fuori della storia e vittime della storia, presentimento di tempi più umani, più vicini a quello schema divino, e simili più alle aspirazioni solitarie dell'immaginazione individuale, che a fatti nazionali e storici. Sotto questo aspetto Marco, e soprattutto i due nati ad un parto, Adelchi ed Ermengarda, sono, in guella serie d'ideali soffrenti, che ispirarono molte fantasie negl'inizii del secolo, tra le più fresche e originali concezioni della musa italiana.
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