È il genio malefico della storia nella persona di don Rodrigo, che li fa ballare contro voglia, e tira nello stesso ballo i più umili attori, avvezzi al prosaico «vivere e lasciar vivere», come sono le Agnesi, le Perpetue e i don Abbondii, e non lasciati vivere, girati, come burattini, da quell'ignoto capo comico, che dicesi spirito del secolo. E qui è appunto l'interesse di questo racconto, ché le avventure non prodotte, ma patite da questi innocenti personaggi, non sono l'effetto del caso, o di combinazioni fantastiche, dette romanzesche, perché materia comune del romanzo, ma sono il risultato palpabile di cause storiche, rappresentate nel loro spirito e nella loro forma con una connessione così intima e così logica, che il racconto ti dà l'apparenza di una vera e propria storia. In questo senso elevato nessun romanzo merita al pari di questo il titolo di storico; se vero è che romanzo storico non è quello che dia di un secolo un concetto adeguato e pieno, come l'intendeva Manzoni e come l'aspettavano i contemporanei, ma è quello, la cui trama è tessuta da uno spirito osservatore e positivo, che dà all'immaginazione la base solida de' motivi e degli eventi storici. Ma così non l'intendeva Manzoni, e gli parve, a mente fredda e rotto il fascino dell'ispirazione, che quel suo fine non l'aveva ottenuto, anzi che il romanzo storico fosse in sé un genere ibrido e assurdo, e dall'ammirazione de' contemporanei fece appello alla severità de' posteri. La posterità è cominciata, e non mi pare che quell'ammirazione si scemi, anzi mi pare che, se alcuna cosa di lui è dimenticata, è appunto quella sua magra definizione e quella sua crudele sentenza.
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