In verità, se voleva il romanzo storico quale lo concepiva lui, quel fatterello sarebbe stato non il vero centro animato del racconto, ma il pretesto, un semplice filo intenzionale, col quale avrebbe piacevolmente tessuta la storia di quel tempo nella sua idea e nella sua realtà. Ma nel caldo della composizione si rivela artista, e quel fatterello gli desta un così potente interesse, e tanto vi s'impressiona e vi s'innamora, che l'interesse storico rimane un accessorio, e la storia altro non è se non un immenso materiale messo a' servigi della sua immaginazione. Pure quelle sue definizioni e quelle sue intenzioni vogliono farsi valere; e se difetto è in questo lavoro, è appunto là, dove alcuna cosa penetra di quelle definizioni e di quelle intenzioni. Perché, intestatosi in quel suo interesse storico, vuole proprio persuadere il lettore che tutto è storia pura, o come Ariosto, invoca anche lui il suo Turpino, e spesso apre lunghe parentesi e intramesse storiche, vere appendici e annotazioni e dissertazioni, e da lui cucite col racconto, non senza rincrescimento del lettore, che per acquistare una pretesa illusione storica, alla quale non pensa, si vede guastare sul più bello la sua illusione estetica, alla quale tutto si abbandonava. L'Autore se ne accorge, e talora invita il lettore a saltare tutto un capitolo. Il suo buon senso di poeta protesta contro le usurpazioni de' suoi preconcetti storici. Togliete tutte quelle appendici, e niente toglierete al valore storico del racconto; perché la storia è non in tutta quella erudizione, ma in quel soffio occulto che anima e genera gli avvenimenti e dà a quelli l'impronta del secolo.
| |
Ariosto Turpino Autore
|