Da Lecco a Monza, da Monza a Bergamo, da Bergamo a Milano l'orizzonte s'ingrandisce, le proporzioni si allargano, le viste si variano, i nomi sono più rotondi, i personaggi più grossi, pur trovi sempre quel nobile, quel borghese e quel popolo: il villaggio è già tutta quella società in miniatura. E tutto ti si spiega alla vista non successivamente, a modo di descrizione, come in una camera oscura, ma per intreccio e antagonismo di forze umane, come in un vero dramma, insino a che, cessata ogni opera di uomini, e quando il racconto sembra finito, le fila si riannodano con epica solennità, entrati in iscena i formidabili fattori della collera di Dio, fame, guerra e peste.
L'Angelica o l'Armida che dà moto a tutta questa macchina, è Lucia. È intorno a lei che si sviluppano combattendo tutte queste forze storiche. È da vedere, se l'avrà Renzo a cui è promessa, o vincerà don Rodrigo impuntato ad averla lui. Qui è tutto l'interesse del racconto. E sembra impossibile come avvenimenti così grandiosi e tante passioni e tanti grandi personaggi debbano servire a scopo così piccolo e così poco interessante. Perché Lucia non ha niente di straordinario, che la renda eminente sopra tutto un secolo che pur gira intorno a lei. Non è un'eroina foggiata dall'immaginazione, privilegiata di tutte le buone qualità, che dico? non si può neppure chiamar bella. La è di una stoffa molto ordinaria, còlta nelle più basse sfere della vita, una di quelle contadine giovinette e casalinghe, intatte ancora come pur ora uscite dalle mani della natura, buone, pure e semplici in un ambiente viziato, di cui non si accorgono, tutto mamma e confessore, vergognose e trepide innanzi alla castità di un primo pensiero amoroso.
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