Questo ideale non è dunque un semplice ritorno, ma una nuova formazione, è un passato che ha insieme tutte le qualità del presente, e una nazione che ha ancora la forza di appropriarselo e ringiovanirlo e trasformarlo, vuol dire che ha ancora la forza di guarire: ciò che sotto forma di restaurazione è un vero risorgimento. Queste erano le speranze di Manzoni e di molti nobili intelletti di quel tempo; queste erano le aspirazioni di una scuola illustrata da Rosmini, Grossi, Gino Capponi, Tommaseo, Gioberti, Balbo, Massimo d'Azeglio, una scuola, di cui la storia è ancora a fare, e che si può chiamare dal suo capo scuola manzoniana. Or questo ideale, che chiameremo di ritorno, ha sotto l'aspetto estetico un gran vantaggio sugl'ideali nuovi: ché questi, non avendo loro fondamento nella tradizione, rimangono nella regione delle idee, e ti riescono in arte razionali, nudi, lirici, personali, come nell'Iacopo Ortis, o anche calati nella storia, come ha fatto Alfieri, vi si mischiano, ma non vi s'immedesimano, e rivelano più l'impronta dello scrittore che del tempo; dove l'altro è di sua natura storico e nazionale, e fa parte del tempo, e si rivela più nel naturale movimento e antagonismo de' fatti, che nelle astratte generalità de' ragionamenti e de' movimenti lirici.
E guardate come Manzoni ha potuto qui collocare questo ideale. Non è già una idea venuta di fuori, una idea personale e moderna, che penetra fattiziamente nel processo storico; ma è l'idea del tempo e com'era nel tempo, viva ancora nella semplicità della credenza popolare, e anche presso le classi corrotte rimasa occulta e dimentica in qualche nicchia del cervello, e capace di muoversi e di svolgersi al tocco di commozioni straordinarie, come nell'Innominato e in don Abbondio.
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