Così don Rodrigo, lo scelto antagonista dell'ideale manzoniano, rimane un individuo storico e reale. Se per la sua lotta con padre Cristoforo e per la sua espiazione riflette in sé negativamente quel mondo religioso e morale, ciò è conseguenza e corona di una idealità ancora più profonda, il tipo del nobile degenere nel tal secolo e nel tal luogo.
Con la stessa chiarezza e decisione è concepito il don Abbondio. Esso è l'ideale alterato e indebolito nell'esercizio della vita e spesso sacrificato per quella specie di codardia morale che accompagna i popoli nella loro decadenza. Come in don Rodrigo, così in don Abbondio il senso del bene e del male è oscurato, e il mondo è guardato e giudicato a traverso di un'atmosfera viziata. Il demonio del potente don Rodrigo è l'orgoglio; il demonio del debole don Abbondio è la paura. La contraddizione fra il suo dovere e la sua paura genera una situazione di un comico tanto più vivace, quanto più egli cerca dissimularla. E la dissimulazione non è già ipocrisia o doppiezza, che lo renderebbe odioso e spregevole, ma è un fenomeno ella medesima della paura. La quale gli fabbrica un mondo sofistico fondato sulla prudenza, o l'arte del vivere, col suo codice e con le sue leggi, un vangelo a cui crede e vuol far credere, e che gli forma i suoi giudizii e gli detta le sue azioni. E perché tutti indovinano, fuorché lui, il vero motivo de' suoi giudizii e delle sue azioni, scoppia il riso. Natura buona e pacifica, sincera e passiva, subitanea nelle sue impressioni, originale ne' suoi giudizii, con scarsa coscienza di sé e con nessuna coscienza degli altri, egli è l'inconscia macchina da cui escono tanti avvenimenti.
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