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      Nel cortile e per le scale servidorame e plebe, con animo e aria di vassalli, pronti a batter le mani, a gridar viva al padrone. Giunge il frate, segno a cento sguardi curiosi. Ciascuno vuol vederlo, come si fa il condannato a morte. Non è il re della festa, è la vittima che va al supplizio. Questo è il mondo volgare, il mondo della folla, sia di plebe, sia di signori. Il quadro è stupendamente disegnato e colorito, e vi abbondano circostanze locali, che gli danno l'aria del tempo e del luogo. Ma ecco si muta la scena. E al mutamento è preludio uno di quegli sguardi profondi che il poeta gitta nel cuore umano. Tutta quella folla giudica come folla, e nel suo giudizio è sincera. Essi conoscono Ludovico, ignorano il nuovo uomo formatosi in lui, ignorano padre Cristoforo. E se si è fatto frate, gli è per salvare la pelle. E se viene a chieder perdono, gli è per riguardo umano, gli è perché così ha voluto il padre guardiano. Aspettano di vederlo turbarsi sotto i loro sguardi ironici, di sentirlo balbettare. Vedrà che significa2 essersela presa con pezzi grossi. Questi sono i sentimenti della folla, de' quali non hanno coscienza chiara, ma che trapelano da tutt'i loro atti. Ma la faccia sinceramente compunta del frate, e la sua aria sicura e tranquilla dee rovesciare tutte queste prevenzioni volgari, e produrre sulla folla nuove impressioni tanto più irresistibili, quanto ella è più sincera e più trasmutabile ne' suoi giudizii. Dunque, quest'uomo non ha paura. E si è fatto frate per davvero.


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La letteratura italiana nel secolo XIX
(Volume Primo) Alessandro Manzoni
di Francesco De Sanctis
pagine 420

   





Ludovico Cristoforo