E viene qui a fare una buon'azione. Le disposizioni sono altre; un mutamento è già avvenuto negli animi prima che si mostri al di fuori. Con queste descrizioni, con queste analisi è preparata una incomparabile scena drammatica. Padre Cristoforo non fa le cose a mezzo; beve il calice sino alla feccia. Nessun segno di ripugnanza, di esitazione; nessun tentativo di un compromesso tra la sua naturale alterezza e la sua sottomissione. I suoi atti di contrizione e di umiliazione sono quali li vorrebbe l'offeso; la riparazione è intera, come intero fu lo scandalo. Mentre piega le ginocchia a terra, nel suo animo c'è questo pensiero così netto: quello fu scandalo, questa è riparazione. Nelle sue parole non perifrasi, non esordii, nessuna titubanza. Non cerca scuse; non va mendicando raddolcimenti e palliativi; va diritto e rapido; la sua parola rassomiglia al suo pentimento; è sicura e sincera. Le mutate disposizioni della folla ora prorompono; a quella impertinenza degli sguardi succede un mormorio di pietà e di rispetto. E il gentiluomo cosa era? e cosa è divenuto? Era lì, come il protagonista del quadro, con la mano sul pomo della spada, in atto di degnazione forzata e d'ira compressa. Tutto è mutato intorno a lui; egli è ancora lo stesso. Ciò che lo move non è tanto l'uccisione del fratello, quanto l'offesa recata alla famiglia. E il fratello è innanzi a lui soprattutto un cavaliere. L'orgoglio di classe era al di sotto di quella degnazione forzata e di quell'ira compressa. E si può in
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Cristoforo
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