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      Il cappuccino che fa le sue osservazioni a padre Cristoforo e si acqueta ad un suo motto in latino, il maggiordomo che fa le sue rimostranze al Cardinale quando sta per ricevere l'Innominato, il Nibbio che parla di compassione, la vecchierella che cerca di consolare Lucia a modo suo, i monatti che fanno il chiasso in mezzo alla peste, sono la presenza della vita comune, una specie di contro-ideale, che regola e tempera ciò che vi è di troppo esaltato in situazioni così drammatiche. Diresti che come Alfieri pare che aguzzi sempre il suo pugnale, Manzoni pare stia sempre lì a spuntarlo. Originalissimo è sotto questo aspetto l'incontro di Federico e di don Abbondio. Se Federico parlasse solo, sarebbe una predica insopportabile. Quelle idee, quei sentimenti così fuori della vita comune e nella loro generalità così illimitati, dàlli e dàlli, provocherebbero una reazione ironica nella sfera temperata, in cui sono i lettori. Ma la reazione è trattenuta e sviata dalle risposte e soprattutto dalle impressioni di don Abbondio, posto in una sfera morale bassissima anche dirimpetto al concetto ordinario della vita, incontro singolare e collisione vivacissima di ciò che vi è di più eroico nella vita morale e di ciò che vi è di più
      abbietto. E il risultato di quest'audace concezione è una situazione tragicomica, i cui effetti contraddittorii si rintuzzano e si temperano a vicenda, sicché la reazione che produrrebbe ciò che vi è di troppo assoluto nelle idee dell'uno, è sviata da ciò che vi è di troppo volgare nel carattere dell'altro.


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La letteratura italiana nel secolo XIX
(Volume Primo) Alessandro Manzoni
di Francesco De Sanctis
pagine 420

   





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