Passano quindici anni, un nuovo secolo è cominciato, e il primo lavoro con cui si presenta il secolo XIX s'intitola: il Natale, la Passione, la Risurrezione, la Pentecoste, l'Inno alla Vergine. Che cosa è questo? È la ricostruzione del cielo dopo due secoli d'indifferenza religiosa, è il cielo gettato in una società scettica ancora e materialista.
Vi è passaggio tra questi due lavori? Come in sì poco tempo un mondo letterario finisce e comincia uno opposto, che è la negazione del primo?
Noi uomini del secolo XIX siamo figli di una delle più violente, delle più radicali reazioni che si trovino nella storia, il cui lievito dura ancora, a cui non ancora sono state mozzate le unghia. Capite che parlo del 1815: è un nome che in quella data riacchiude una reazione politica, filosofica, storica, letteraria.
Il XVIII è il secolo della ragione; il nuovo si chiama «Santa Fede», «Santa Alleanza». Il XVIII si chiamava scettico, materialista; il nuovo comincia con uno spiritualismo mistico e spinto fino al più puro idealismo. Il XVIII si sente erede del Risorgimento, solidale con la Riforma; il nuovo passa sul capo al Risorgimento come se questo non esistesse, e cerca la sua legittimità, le sue idee nel Medio Evo, nel papato con le sue istituzioni, nella monarchia del diritto divino, nelle classi coi loro privilegi e con le loro distinzioni. Non solo ci è diversità, ma contrarietà: il nuovo secolo comincia con superbia da vincitore, tiene il vinto sotto i piedi, se ne fa contraddizione assoluta.
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