Da una parte è il diritto di natura, dall'altra il diritto divino: alla sovranità popolare si oppone la legittimità; quello proclamava i diritti dell'uomo, questo i diritti dello Stato.
Non poteva la reazione essere né più violenta nelle azioni, né più radicale nelle conclusioni.
È naturale che una reazione penetrata nella filosofia, nella storia, nella politica, per cui nei sogni di vittoria vagheggiavasi la ricostituzione dei maggioraschi e dei privilegi sotto le ali del diritto divino, è naturale che non potesse non penetrare nella letteratura. E la letteratura nuova del secolo XIX sorge prendendo nome diverso, in opposizione di quella del XVIII, un nome di guerra - e si chiama «romanticismo», letteratura dei popoli romantici.
Signori, non ci appaghiamo di parole, dobbiamo analizzare. Che era la letteratura del secolo XVIII, che era la nuova che sorgeva fra la reazione romantica?
Che era quella del secolo XVIII? Un ideale: l'uomo nello stato di natura, com'è nato, volente e possente, con le sue facoltà, i suoi diritti. Questo è l'ideale. Il reale di quella letteratura, cioè l'opposizione in cui l'ideale s'infrangeva, qual era? La società. Scopo di predilezione è la natura, scopo di maledizione la società che avea guasta l'opera della natura, negati quei diritti, tolta l'espansione a quelle facoltà. La natura è glorificata, la società dispotica, privilegiata, è scomunicata. In questi casi rimangono immortali certi motti che li riassumono. Rousseau in un momento di esaltazione [ne] cava dalla immaginazione uno che fece il giro d'Europa e rimase immortale: «L'uomo è nato libero, ed è dappertutto in catene». Qui è il riassunto di quell'ideale e di quel reale.
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