Savigny scrisse un magnifico capitolo su di essa, e Manzoni non aveva letto Savigny quando se ne occupava.
Vediamo un po' il secolo XVIII, il XVII, il XVI (perché il XVIII non è uscito come un fungo dalla storia, le sue origini rimontano alla metà del XV), come considerano la questione longobarda?
Dimostrano gli storici di quei tempi che i Longobardi erano un popolo straniero, che venuto in Italia finì coll'immedesimarsi col popolo latino; che quello avea conceduto a questo l'uso delle leggi sue, le libertà municipali, tutte le larghezze che potevano avere gli uomini longobardi, tranne la superiorità del dominio. Perciò, dicevasi, se i Longobardi non fossero stati disturbati nella loro opera unificatrice, fin d'allora si sarebbe avuta un'Italia nazione; prima colla violenza, poi col dolce e lento mescersi delle razze, e l'Italia sarebbe stata una come la Spagna, e la Francia. E ciò per quegli storici era un risultato così grande che doveva renderli indulgenti verso i Longobardi: Machiavelli li esalta, Muratori li difende, finanche l'ultimo filosofo del secolo XVIII, morto nel XIX, Romagnosi, n'è invaghito, li ama, li giustifica. Che era questo? Voi lo sentite: era l'Italia, era il sentimento politico dell'unità nazionale che rivelavasi nell'apologia dei Longobardi. E se da una parte si glorificavano questi, dall'altra non avevansi parole a sufficienza severe contro papa Adriano che chiamò i Franchi, Carlomagno, alla distruzione del regno longobardo. Per quegli storici liberali, questa era la prima colpa del papato contro cui ribellavasi il loro animo patriottico.
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