Nel Medio Evo quella lotta concepivasi in modo esteriore e spesso fantastico e grottesco: i romantici, che ricostruivano nel secolo XIX il Medio Evo, han cercato ottenere l'effetto esteriore dal fantastico e dal grottesco, come vedremo quando esamineremo l'Ildegonda di Tommaso Grossi. Basta che voi ricordiate le «missioni» dei vostri paesi, rammentiate come i predicatori rappresentano la morte cristiana: al letto del morente sono l'Angelo buono e l'Angelo cattivo, che si contendono l'anima: uno vuol inspirare nel moribondo la memoria delle sue vicissitudini terrene, l'altro cerca di elevarlo al cielo. Ecco il grottesco, ma questo grottesco è stato pure il fondamento di tutta la poesia del Medio Evo. Che cosa è infatti la Divina Commedia? Ma la lotta tra il terreno e il divino presentata in tre momenti successivi, Inferno, Purgatorio e Paradiso!
Saltiamo i secoli, veniamo al romanticismo. Che cosa è il Faust del Goethe? È la lotta tra il terreno e il divino, tra Dio e Mefistofele, prima intorno all'anima di Margherita. Quando Margherita è salva, ella stessa poi diventa lo strumento della salvazione di Faust, non ostante il patto da lui conchiuso col diavolo. La Divina Commedia è epica, perché là la lotta è presentata in momenti successivi; il Faust è dramma, la lotta è presentata come collisione permanente: in tutt'i fatti, in ogni scena v'è il contrasto tra il terreno e il divino. Margherita che tormentata dallo spirito cattivo, quando sta per spirare, ha da presso Mefistofele il quale cerca tirarla a sé, è la donna nella lotta simbolica esteriore tra il demonio e Dio.
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