Ma ci è un'altra parte, che fa di lui una delle figure più difficili ad essere attinte, non dirò dal poeta, ma dallo scienziato e dallo storico.
Manzoni ha gittato via tutto questo: non ci è per lui il francese, non l'uomo contemporaneo, l'uomo dalle idee moderne, rivoluzionario, che pose fine alla rivoluzione e instaurò la reazione. Tutto questo contenuto svapora innanzi a Manzoni come Napoleone era svaporato innanzi alle moltitudini. Che era Napoleone pel popolo?
Il popolo non vede nelle cose umane che ciò che può ammirare, ciò che desta il maraviglioso: ci vede il miracolo. Se fosse capace di vedere sotto al miracoloso le leggi severe dello spirito, avrebbe intelligenza adulta, forte, non sarebbe più popolo. Il grand'uomo innanzi al popolo è una forza vuota: nei tempi barbari, forza fisica, ed allora si hanno gli Orlandi e i Rinaldi; ne' tempi più civili, forza intellettuale, morale. Che c'è dentro questa forza? Qual uso se ne è fatto? Che effetti storici ne sono usciti? Qual missione aveva Napoleone? L'ha egli compiuta? Tutte queste cose escono fuori dal concetto del popolo, il quale ammira la grandezza dell'uomo, la grandezza straordinaria degli avvenimenti, quella morte straordinaria: il vedere quel grande, solo, silenzioso, confinato sullo scoglio di Sant'Elena, ingrandisce il piedistallo su cui l'immaginazione del popolo mette Napoleone. Manzoni, ritraendo il Napoleone delle moltitudini, ne ha tolto fuori tutt'i particolari determinanti che ti dànno il Napoleone di Victor Hugo, o di Lamartine, o di Béranger, e non ti presenta innanzi che gli effetti vuoti della forza, come è naturalmente, come la tempesta e il fulmine.
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