E capite perché allora possa comparire la Divina Commedia, la quale non è che l'altra vita in cui si riflette la vita terrena, storica; non è in dissonanza, ma di accordo e nelle istituzioni e nel concetto morale.
Al contrario Manzoni non trova l'ideale se non innanzi alla tomba, e invano finora lo abbiam veduto sforzarsi di farlo penetrare in tutti gli stadii della vita. L'ha tentato con l'Adelchi e non è riuscito, l'ha tentato con l'Ermengarda e ne è venuto fuori un Coro; ma la donna idealizzata a quel modo non ci è. Avete visto il suo sforzo, quando è venuto al Cinque Maggio, di fare di Napoleone l'orma del Creatore, uno strumento della Provvidenza; ma avete anche veduto come la grand'ombra di questa realtà copra tutte quelle velleità del nuovo ideale, come essa si presenta e pone da sé secondo il popolo la concepisce, e Manzoni fa risplendere quell'ideale solo all'ultimo momento, all'istante della morte.
Ebbene questo ideale dell'«ultim'ora» non lascia però di avere la sua influenza nel modo come il poeta concepisce gli avvenimenti, come rappresenta la vita terrena. Guarda con l'occhio dell'altro mondo, innanzi al quale le passioni della vita sono vanità: c'è in lui una tendenza a spogliare gli avvenimenti di quella vernice, di quell'involucro del quale li coprono i contemporanei; a vederli nella loro realtà, quali sono; a spogliar questa delle passioni che penetrano in tutta la vita storica e vederla con occhio tranquillo, con l'occhio calmo di chi si sente presso a morte: perché sapete che a quel passo le cose umane sembrano tutt'altre, tutte le passioni della vita terrena spariscono.
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