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      Prendiamo per esempio che Alfieri voglia rappresentare il tiranno. A lui poco importa che Filippo II storicamente sia simile al suo ideale: non gl'importa. Filippo fu un tiranno; questo gli basta, e riunisce in lui tutte le qualità che può avere il suo ideale.
      Vedete un po' quali sono le conseguenze di questa maniera di formazione. Il punto di partenza non è il reale, la storia, ma un ideale concepito dalla intelligenza. Perciò la composizione è anch'essa per dir così ideale o intellettuale, cioè Alfieri non fa succedere i fatti secondo le esigenze storiche di tempo e di luogo: aggruppa i fatti come un filosofo raggrupperebbe le idee; e quindi questa successione mi rappresenta come tante proposizioni logiche unite insieme per dimostrare una proposizione principale, per giungere al quod erat demonstrandum.
      Alfieri dunque ordina i fatti suoi più in modo intellettuale e logico che storico. Ne nasce da una parte mutilazione, dall'altra esagerazione. Mutilazione, perché è obbligato a togliere i fatti che non servono al suo scopo, non giovano a mettere in vista il suo ideale: i suoi personaggi sono storicamente mutilati. Esagerazione, perché mentre taglia alcuni particolari, altri deve alzare fino all'ideale che gli sta innanzi; e allora si ha il caso del tiranno Procuste, il quale quando mettea sul suo letto qualcuno che non ci stesse esattamente, lo prendeva per le gambe e lo stirava: così Alfieri deve prendere i personaggi e stirarli fino al suo ideale. Ecco i difetti naturali della sua composizione, logica ma fredda.


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La letteratura italiana nel secolo XIX
(Volume Primo) Alessandro Manzoni
di Francesco De Sanctis
pagine 420

   





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