E non basta: la composizione ideale produce il meccanismo anche ideale nella tragedia: il meccanismo è l'esecuzione di quell'ordito, l'ordito considerato nelle sue parti. Dite ad Alfieri che la trama della tragedia è troppo lunga: egli che ha il suo ideale composto logicamente, non guarda se storicamente può avvenire ciò che fa avvenire, gitta via leggi di tempo e di luogo, e ne nasce l'unità di tempo e di luogo, già ammessa come canone dai critici, qui portata all'esagerazione, in modo che tutti gli avvenimenti si svolgono in una stanza e in ventiquattro ore: assurde regole nate da un'assurda composizione.
Veniamo allo stile e al linguaggio. Poiché il personaggio di Alfieri è ideale, cioè fuori della vita, di taglia non comune, eroe, dio dell'Olimpo; quando parla, il suo linguaggio non può rimanere quello della conversazione comune, deve elevarsi all'altezza del personaggio. Tutti sono eroi, parlano come dal tripode, a guisa di divinità dell'Olimpo, molto superiori all'ordine regolare.
Riassumendo: nelle tragedie di Alfieri ci avete un ideale tipico, con la tendenza a rappresentarlo nel personaggio con le sue più notevoli proprietà; una composizione più logica che storica, un meccanismo che rigetta i limiti di tempo e di spazio, un parlare sollevato a quell'altezza dell'ideale, conveniente a dii e ad eroi.
Se ho bene sviluppato questa forma propria a tutte le tragedie classiche, e che Alfieri conduce alle ultime sue conseguenze, spero esser anche chiaro nel rilevare il contrapposto di questa con la forma scelta da Manzoni, conveniente alla sua tragedia storica.
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