Quando Manzoni pubblicò il Cinque Maggio, tutti batterono le mani, i critici furono ridotti al silenzio. Innanzi al Conte di Carmagnola la critica rimase incerta; ma di tutto quell'insieme una sola cosa è rimasta viva, il Coro.
Dobbiamo renderci conto di questo giudizio, osservando quali ragioni resero freddo il popolo italiano innanzi a questa tragedia; ragioni che non possono essere di partiti, politici o letterari, ma desunte dal libro immortale dell'arte.
Qui permettetemi che vi faccia un piccolo intermezzo per esporvi i miei criteri sull'arte. Siamo giunti ad un punto dove sorgono tante domande: - Che cosa è l'arte? perché l'ideale di Alfieri è manchevole? in che difetta la forma di Manzoni? quale criterio dovrà esserci guida nel giudicare? - . Finché siamo rimasti nelle generalità liriche, potevamo stare alle impressioni; ora entriamo nella vita reale ed abbiamo bisogno di raccoglierci in noi stessi.
Alfieri partiva da un ideale che chiamerò tipico, Manzoni da uno tutto storico, reale. L'arte non è né in questo reale né in quell'ideale. L'ideale classico di Alfieri non dà l'individuo vivo, ma ridotto a genere e specie. Voi sapete che mediante un'astrazione dell'intelletto, prendiamo un individuo e poi diciamo a che genere o a che specie appartenga. Il poeta vi presenta, come diceva, non più un individuo reale, ma un genere, una specie, un tipo. Il tipo ci vuole nell'arte, ma quando è scarno, non pieno di vita, rimane nell'astrazione e nelle generalità, non è più artistico.
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