Là si vede il Conte superbo della sua vittoria, poi un Commissario viene a dirgli: - Bisogna continuare nell'opera cominciata colla vittoria - . Il Conte non ammette che un Commissario del potere civile gli faccia lezione. Più tardi viene un altro Commissario e dice al Conte: - I soldati restituiscono i prigionieri, ordinate loro che nol facciano - . Era quello un uso di guerra, e il Conte non solo si rifiuta ad impedire la restituzione, ma ne fa liberare altri quattrocento. Egli se ne va e i due Commissarii rimasti soli si guardano in faccia e dicono: - Abbiamo a fare con un uomo avvezzo al comando, e che vuol sempre comandare - .
I due precedenti atti sono l'esposizione degli «antecedenti», i due seguenti sono la condanna del Conte, la catastrofe. Tutta la tragedia si concentra nel terzo atto.
Manzoni che vuol fare una tragedia storica, non s'è domandato: - Le cose sono avvenute così? - . La storia è stata più poetica della sua tragedia. Quel fatto de' prigionieri fu il primo incentivo del sospetto; passano due o tre anni dopo questo fatto, prima che il Conte sia condannato. In questo tratto di tempo il Conte comincia ad essere sfortunato e ciò gli produce danno, perché la sfortuna d'un generale apre facile adito al sospetto. Egli ordina di prendere Cremona: i soldati le dànno l'assalto di notte, i cittadini resistono, quelli sono costretti a ritirarsi, e il Conte non insiste, non torna all'attacco. La flotta veneta si trova in mal passo, egli potrebbe salvarla, ma per vendicarsi della mancanza di rispetto. per mostrare che non gli si può dar lezione in fatto di guerra, la lascia schiacciare.
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