Egli dà ombra al suo signore, se ne avvede, domanda un'udienza. Filippo Visconti gliela nega, e Carmagnola lo abbandona, va come Annibale cercando nemici al Duca, la vendetta diviene il suo stimolo. L'attitudine del comando, l'indole irrequieta, la sete delle battaglie lo han reso grande, ora lo mettono in rovina.
Venezia prepara guerra al Visconti, egli va ad offrirle la sua spada. Colà trova un'oligarchia sospettosa, un Senato che vuol comandar anche nelle cose di guerra, che si permette mandargli de' Commissarii - oggi diremmo delle spie - , di dirgli: - Devi far questo o quello - . Carmagnola, avvezzo a comandare, guerriero, si trova di fronte borghesi pieni di menzogne, consci della loro debolezza, i quali cercano vincere non per forza ma per arte. Carmagnola, perché ha quelle qualità che lo condussero in alto, deve morire. Un uomo mediocre sarebbe caduto nella trappola? No; ma egli sa che si sospetta di lui, gli amici ne lo avvertono; eppure quando è chiamato dal Senato, va a Venezia. All'ultimo dice: - Fui uno stolto - . È la stoltezza d'un'anima generosa.
Manzoni non ha veduto che cosa rende interessante questa vita, la quale è simile alla vita di Napoleone: quelle stesse qualità che condussero Napoleone in alto, gli fanno girare il cervello e lo spingono alla ruina. Manzoni non s'innalza fino a quell'altezza ed ampiezza, avea ancora i pregiudizi classici. Ma se vi fosse giunto che dramma avrebbe fatto, e senza i lunghi discorsi! In questo dramma il punto di partenza sarebbe simile a quello del Wallenstein di Schiller: Wallenstein è il personaggio storico che più si accosta al Carmagnola.
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