Le fine gradazioni dei caratteri sono, dunque, come egregiamente osserva Goethe, ben concepite da Manzoni.
Veniamo al patetico. Goethe fa intendere che non gli piace, da questo lato, la materia del Carmagnola, per cui, onde cavarne il patetico, ci vuole un po' di artifizio, e gli suggerisce, in caso che Manzoni voglia scrivere un'altra tragedia, a scegliere per argomento la cessione di Parga, in cui è naturale il patetico. L'argomento non piacque a Manzoni e ispirò più tardi Berchet.
Goethe fa però notare l'artifizio con cui Manzoni ha condotto la tragedia all'emozione. Due sono in questa i momenti patetici: il Coro e la catastrofe, la morte di Carmagnola. Non è bene suscitare il patetico sin dal principio, quantunque sia assai facile ottenerlo. Ma il poeta accorto fa scaturire le lagrime all'ultimo, come risultato di tutto ciò che precede: non vi dà subito la commozione, difetto che ha talvolta Alfieri, il quale sin da principio s'innalza alle più alte regioni del pathos.
In questa tragedia son prima due atti, i quali scorrono tranquilli, senza alcun movimento che possa aver somiglianza coll'emozione, e servono a preparare lo scoppio ultimo, il Coro. C'è poi la catastrofe, con le lagrime della moglie e della figlia, lo strazio di Carmagnola che si volge all'altra vita: bella scena, preparata da tre atti antecedenti, dice Goethe, a guisa di fiume che scorre per lungo tratto tranquillo, e presso al mare copre le sue onde di schiuma e fa sentir quel rumore che annunzia la concitazione interna.
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