- Gli alleati vincitori vi daranno libertà - , si diceva a noi, e si diceva anche in Germania e in Ispagna. - Volete l'unità? - si parlava così agl'Italiani - volgetevi all’Austria - , la quale avea appunto trattative in questo senso con Gioacchino Murat. E per questo, nella lotta suprema contro Napoleone, l'Italia rimase coll'arme al braccio, incerta tra il volgersi a sostegno della Francia e le promesse degli avversari. Il viceré, Eugenio Beauharnais, tentò un piccolo sforzo, ma il rimanente d'Italia rimase inerte.
Ma quanto più gli alleati facevansi forti, tanto meno ricordavano le promesse. Venne il tempo in cui Gioacchino Murat, quantunque la storia lo abbia battezzato «testa d'asino e cuor di leone», testa d'asino com'era, sentissi burlato; e messosi alla testa di un esercito napoletano, quando fu giunto a Rimini fece il famoso proclama, con cui faceva appello agl'Italiani e gridava loro che doveano costituirsi a nazione. Ma fu troppo tardi. La Francia era prostrata, gli alleati potenti, e fu loro facile abbattere gli sforzi tardivi del re. Potete immaginare quale effetto questi avvenimenti produssero sull'immaginazione del popolo. Oggi che noi raccogliamo i frutti dei loro sforzi, non possiamo facilmente concepire ciò che era allora la gioventù italiana, ciò che erano i professori e in generale gli uomini colti.
Quando sorse dubbio che l'Austria mancasse alle sue promesse, e nel Congresso di Vienna l'Italia le fu abbandonata, sapete che si formò la famosa lega di tutti i giovani e gli uomini colti di tutte le città, i quali volevano correre in Lombardia e fare un vespro austriaco: eppure gli alleati erano vittoriosi e disponevano di tutta l'Europa.
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