Da Machiavelli in poi, fino al Romagnosi, come altra volta notammo, le simpatie degli storici furono per i Longobardi: sembrava storicamente assodato che quel popolo dopo due secoli di dominazione avrebbe finito coll'assimilarsi l'elemento conquistato, comunicandogli le sue leggi, i suoi diritti. Si riteneva che se i Longobardi avessero potuto continuare a governare in Italia, fin da quel tempo si sarebbe ottenuta l'unità nazionale. Allo stesso modo che i Franchi stabilendosi nella Gallia si assimilarono i Galli e fondarono la nazionalità francese, e come in Ispagna si finì col cacciare l'elemento arabo e fondare l'unità spagnuola, così, pensavano gl'istorici, avrebbero fatto i Longobardi in Italia; avrebbero fondato una nuova nazione; la quale se non si fosse chiamata Italia, ma piuttosto Lombardia o Longobardia, invece sarebbe stata una. E siccome i papi, chiamando prima Pipino e poi Carlomagno, furono principale cagione della caduta de' Longobardi e dello smembramento definitivo d'Italia, così nella storia di tre secoli i papi compariscono appunto come i principali autori della dissoluzione dell'Italia, i Longobardi sono oggetto di simpatia, anzi in Giannone e in Romagnosi sono dipinti come popoli quasi civili.
Nel secolo XIX il punto di vista cambiò: gli storici come Savigny, Thierry, Troya, Guizot andarono all'eccesso opposto e glorificarono il papato siccome fattore di civiltà rispetto al Medio Evo, come elemento democratico in mezzo al feudalismo; lo dissero rappresentante della giustizia e della verità in mezzo a un popolo barbaro, e i Longobardi furono dichiarati giustamente vittime della loro oppressione, della loro crudeltà verso il popolo conquistato.
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