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      Ma se nella miseria presente serba confuse reminiscenze di quello che fu, ha perduto la qualità per cui un uomo è uomo e un popolo è popolo: la volontà di decidere dei suoi destini.
      All'ultimo momento quell'ideale che si chiama popolo latino dà a Manzoni l'ispirazione lirica. Quel popolo ha ancora un ideale, lo vedete memore del passato, ma è un ideale che rimane velleità senza forza, come in Adelchi; non si può tradurre in azione: i Latini aspettano la loro liberazione non dalle proprie virtù, ma dai Franchi, dal Papa; non hanno ancora potenza di vivere da sé, non sono ancora popolo.
      Questo è un concetto altamente tragico come ogni ideale negativo, e può spingere la lirica ad altissima sommità. E nulla infatti può esserci di più commovente dello spettacolo di un popolo caduto da tanta gloria in tanta miseria.
      Il motivo di questo Coro è profondamente concepito. Vedete dapprima un popolo il quale dopo avere per tanto tempo dormito nella servitù, per un momento si desta:
     
      Dagli atrii muscosi, dai fori cadenti,
      Dai boschi, dall'arse fucine stridenti,
      Dai solchi bagnati di servo sudor,
      Un popol di schiavi repente si desta;
      Intende gli orecchi, solleva la testa...
     
      Ed allora pensa: - Le mie sorti sono compiute - . Ma andate a guardare all'ultimo del Coro. Ritornano quasi le stesse parole, e vi annunziano l'immobilità del destino di quel popolo:
     
      Tornate alle vostre superbe ruine,
      All'opere imbelli dell'arse officine,
      Ai solchi bagnati di servo sudor!
     
      Il forte si mesce col vinto nemico,
      Col novo signore rimane l'antico;


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La letteratura italiana nel secolo XIX
(Volume Primo) Alessandro Manzoni
di Francesco De Sanctis
pagine 420

   





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