Carmagnola vive pagano, muore cristiano; Adelchi che non osa rivelare se non ad un amico il suo animo, morendo parla innanzi a Carlo come un profeta e un apostolo. Così Manzoni ha potuto introdurre nel dramma Ermengarda.
Dunque l'ideale di Manzoni ha tre momenti: avete un ideale negativo, un ideale impotente e il momento della morte. Che avviene? Fate tutto il possibile per potere realizzare quell'ideale; ma siccome per ciò si deve penetrare nella storia e questa dev'essere mantenuta nella sua integrità, ne viene che la storia è da una parte, l'ideale dall'altra, senza compenetrarsi: stanno come due linee parallele senza mai incontrarsi, e dove non c'è fusione non c'è vita.
Or che c'è di vero in questa concezione esagerata? Qual è l'errore?
C'è di vero il bisogno del positivo e del reale.
Quando l'immaginazione a forza di abusare di se stessa ha finito col consumarsi (perché nel corso del mondo c'è un tempo in cui la mente lavora sola, fuori del positivo, e allora nascono i sistemi teologici e filosofici e la grande poesia; e poi lo spirito finisce col logorare se stesso), si sente il bisogno di altra sfera, di cibarsi di un nutrimento più sano. Il secolo XIX cominciò con questo sentimento. La Rivoluzione s'era presentata così astratta, così lontana dall'esperienza, i poeti e pensatori rappresentarono così astrattamente il loro mondo morale e politico (e sapete che esso degenerò anche in rettorica), che sorse il bisogno di afferrarsi al positivo. E Manzoni ubbidiva, senza saperlo, alla stessa tendenza di Goethe, degli Schlegel, di Troya, di Thierry ed altri.
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