Quanto al materializzare la morale, è d'accordo col Sismondi. Si sforza però di dimostrare che quantunque esso sia vero, si deve attribuire ai casisti, al tempo, ecc.; ma che nel senso cattolico il vero principio morale è dentro dell'uomo. È colpa forse di Cristo che gli uomini credano esser santi col solo andare in chiesa? Il credere che uno è assoluto se il confessore alza la mano per benedirlo, che l'entrare in paradiso è questione di aver di che pagare le indulgenze, è colpa di Cristo?
Credo avervi dato un concetto chiaro del mondo morale e religioso come è rappresentato da Sismondi e difeso da Manzoni. Questi cerca nobilitarlo strappandolo dagli abusi presenti, riconducendolo alla sua origine. Ciò fa in quel discorso, ciò ha fatto negl'Inni, nel Carmagnola, nell'Adelchi, ciò ha fatto anche nei Promessi Sposi.
Che cosa pensa egli, dunque, quando studia il secolo XVII e vuol farvi un romanzo? Pensa trovare il modo di mettere in azione quella morale cattolica, rappresentarla non più liricamente come nei Cori e negl'Inni, ma rendendola veramente drammatica in un'azione che abbia il suo processo interno: e questo senz'alterare la verità positiva, anzi in modo che essa ne sia illustrata.
Or vi pare possibile inquadrare nel secolo XVII una morale così pura, come la concepisce Manzoni, libera dall'esagerazione del suo principio, da quel materialismo della sua fine? Come trovare elementi perché quell'ideale stia in quel secolo senza dissonanza, senza che paia parto della fantasia, senza che paia messo a forza in un mondo sì differente?
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