Che li muove? Il mondo tristo in cui si trovano; gli elementi fracidi contrarii all'ideale morale e religioso di Manzoni, diventano la leva che fa muovere quei caratteri.
Siamo in un piccolo paese. Lo scrittore prende quel secolo come poteva essere in un paesello. Avete il barone - don Rodrigo, il conte Attilio - co' suoi bravi, un barone che per un caso qualunque s'impuntiglia a voler Lucia, poi questo puntiglio lo rende ostinato. Lucia che pareva un accessorio nella sua vita, diviene la principale sua occupazione, egli non ha più che il pensiero di Lucia. Avete da una parte il mondo ideale-reale, Renzo, Lucia, Agnese; dirimpetto il mondo positivo: il barone, i bravi con la borghesia, la parte istruita dipendente da lui e dai suoi scherani, che in luogo di soccorrere due contadini, trema del signore e volge l'istruzione contro i deboli in favore dell'oppressore.
I rappresentanti di questa borghesia già voi li avete nominati: c'è tra gli altri un personaggio che pare messo lì a caso, ma è pieno di senso, l'Azzeccagarbugli, il dottore, l'avvocato che, credendo si trattasse d'un altro, offre la sua opera a Renzo, e sentendo che si tratta di don Rodrigo, lo caccia.
Questo mondo baronale-borghese - permettetemi questa associazione - , baronale come oppressione, borghese come istrumento dell'oppressione, non rimane a Lecco. Naturalmente i baroni avevano molte relazioni e aderenze: era una catena che da un paesello, da Lecco per esempio, si estendeva e andava fino alla capitale, a Milano; una catena che Renzo col suo linguaggio espressivo battezza «lega dei birboni», lega cioè di dottori, notai, procuratori, uniti coi baroni, cogli oppressori.
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