Quando comparve il romanzo, i più veementi patrioti deploravano l'influenza che esso avrebbe avuto sugl'Italiani. Io invece me ne rallegro, poiché è, come influenza, sano; poiché se vogliamo uscire dalle passioni estreme dei partiti e metterci nella regione della verità, di quella verità che può veramente rigenerare il popolo, che cosa è questa concezione, che pare sia la glorificazione della morale cattolica? È una concezione eminentemente patriottica, eminentemente democratica, eminentemente religiosa.
È eminentemente patriottica, non perché l'autore, come fece dopo il Guerrazzi, vi parlasse di patria e di nazionalità, sentimenti che non esistevano nel secolo XVII; ma perché, ora che Manzoni non fa più il dramma dove deve nascondere se stesso, ora che espone quella dominazione, quei costumi, quei mali - lo fa con sì profonda analisi e sentimento di ciò che è opprimente in quello stato, che la conchiusione non può non esser chiara per gl'Italiani. Egli dava il quadro senza parola; ma quando vennero il Guerrazzi e gli altri con la parola, il quadro era fatto.
Eminentemente democratica, perché è il primo esempio di un romanzo di cui sieno protagonisti dei contadini, in cui entri il piccolo popolo come elemento essenziale, che in noi desti interesse non per la regina, o per la nobile, o per le grandezze umane, ma per una donna la quale altro non ha che un cuore schietto e puro. È questo lo spiritualizzare le cose, spogliandole del manto bugiardo di cui le ricopre la società, è il vederle in se stesse, come sono.
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