In generale, i poeti idealisti, quelli cioè che lavorano intorno a un ideale, hanno tendenza a spiritualizzare il fatto materiale abbozzandone leggermente i contorni, a sprigionare l'ideale e farne sentire la presenza, mettendo in rilievo le impressioni e i sentimenti che esso genera. Manzoni invece ha tendenza a nascondere l'ideale, a calarlo nella realtà, nel fatto concreto, e a dargli un'apparenza talmente storica, esternamente, che voi possiate dire: - Ciò non è verosimile, ma è avvenuto; non è poesia, ma storia - .
È questo già un carattere della forma di Manzoni, che lo stacca in modo rilevante da tutta la poesia italiana antecedente. A me sembra che prima di Manzoni i grandi poeti italiani, compreso il Tasso che volea fondare il suo poema sulla storia, sieno stati grandi sognatori, o come dicono i Francesi, grandi rêveurs, e che la tendenza a realizzare l'ideale non si cominci a manifestare che nel modo come Manzoni dà vita e forma alla sua concezione.
Questo che fa? Per la tendenza contraria a quella degli altri poeti, mentre essi ingrandiscono le proporzioni del reale per avvicinarlo all'illimitato dell'ideale, Manzoni invece vuol misurare le proporzioni di esso e accostarlo al finito, al determinato della reatà, e ne nasce quella che dicemmo la «misura dell'ideale», in modo da farlo apparire reale, storico.
Ora si comprende ancora un passo ulteriore nella forma manzoniana. Manzoni in essa non cerca il sentimento o le impressioni, cerca la figura, o per dirla con linguaggio antico, il «plastico». Idee, sentimenti, impressioni in lui si traducono in immagini esterne.
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