Chi ha questa forza ha veramente la volontà della produzione; quando l'uomo ha la forza di far certe cose, nasce in lui la volontà di farle, e se non le fa rimane insoddisfatto. Un poeta cui quella forza manchi, difetta di calore, produce il secco, l'arido, è debole nel colorito; come il Gravina nelle sue tragedie. Nell'arido sentite che lo scrittore mentre produceva si annoiava, rimaneva fuori della sua produzione, e siccome il poeta riflette generalmente sul lettore le stesse impressioni che sente lui mentre produce, ciò che annoia lo scrittore e lo distrae, annoia e distrae il lettore. All'opposto supponete una forza produttiva che sia una velleità, sì che il poeta deve produrre con fatica; allora non potendo cogliere il vero, lo esagera, va nel gonfio, nell'esagerato. Nella sua produzione sentite la fatica, lo sforzo; e ne è indizio la mancanza di brio e di facilità.
La volontà e il piacere della produzione costituiscono il «genio» o la «genialità». Il genio non è, come volgarmente si dice, la qualità superlativa dell'ingegno. In fatto di genio non è questione di quantità ma di qualità: è cosa sui generis, che non ha nulla a fare coll'ingegno. Non è la visione, il vedere l'oggetto, ma la volontà, il piacere di rifarlo e riprodurlo al di fuori. Perciò si dice d'uno che faccia qualche cosa: - Ha il genio di farla - ; cioè la fa quasi per compiere se stesso. Ciò dà il marchio al grande poeta.
Quando v'è il segno esterno, accessibile a tutti, della genialità? Quando qualunque opera dello scrittore è cancellata nella sua produzione senza lasciare orma di sé, quando la produzione rimane se stessa, ciò che di più spontaneo è nello scrittore.
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Gravina
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