L'ingegno, vi dissi, si riferisce all'intelligenza, il genio alla volontà. È l'«io voglio» del poeta, derivante dalla coscienza della forza sovrabbondante che è in lui, la quale vuole manifestarsi. Quando questa forza non c'è, l'«io voglio» è velleità; quando c'è, si sviluppa il desiderio, il bisogno di manifestarla, ed allora è volontà. Non è vero che volere è potere, come volgarmente si dice; è tutto il contrario. Chi vuole senza aver la forza di potere ciò che vuole, può arrabattarsi quanto crede, ma non riuscirà a nulla. Allora la volontà è efficace quando risulta dalla coscienza della propria forza.
Quali sono i caratteri appariscenti di questa forza produttiva? Sono due. Il primo, che merita più attenzione, è incomunicabile, è proprio dell'artista: è la spontaneità; tutto ciò che è geniale, è spontaneo. Con le forze della volontà e della intelligenza potete cercare e cercare, ma più cercate più il tratto geniale vi sfugge. Il cercare non è inutile, prepara il fenomeno della produzione; ma all'istante che il cervello produce, eccovi innanzi una bella immagine o un bel pensiero e non sapete donde vi sia venuto. Quando vi viene così, all'improvviso, vi fregate allegramente le mani, vi si vede sorridere, siete contento: questo è il secondo fenomeno della produzione, il «brio»; e l'uomo si sente allora come liberato da un gran peso perché ha prodotto.
Questi sono fenomeni generali. Ciascun genio ha il suo carattere particolare, e dicesi il genio di Dante, di Raffaello, di Manzoni.
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Dante Raffaello Manzoni
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