Egli non è ridicolo in quanto è prete, ma in quanto rappresenta appunto, con tutta la borghesia, col suo latinorum, in grado assoluto, quella trepidazione, quella paura, quel sottomettersi innanzi alla forza naturalmente e con l'anima, in che è il carattere comico di tutto il gruppo intermedio. A Lecco la gente istruita sottosopra è come don Abbondio; alcuni sono peggiori, e i mezzi tiranni come i grandi tiranni si servivano della protezione del forte per opprimere il debole. Ci avete il dottore Azzeccagarbugli, il podestà del villaggio di Renzo e Lucia, che soggiaceva all'intimazione dei bravi e stette zitto come don Abbondio, ci avete fin anche l'oste: così quel sentimento generale della borghesia è finamente indicato da Manzoni in tutte le gradazioni.
Quando Renzo va con Tonio e Gervaso all'osteria per preparare la sorpresa da farsi a don Abbondio, vi trova i bravi che vi stavano per fine opposto, per preparare la sorpresa a Lucia e ad Agnese. Il povero oste si trova in mezzo. Renzo vede quei visacci e gli domanda: - «Chi sono quei forestieri?» - . L'oste risponde: - «Non li conosco» (e invece li conosce), pensate a mangiare le polpette - . Dopo gli si accosta un bravo e gli dice: - «Chi sono quei galantuomini? - Buona gente qui del paese»-. Il bravo insiste e quegli fa in poche parole la storia di quei tre, a cui avea pur detto che non si curava del nome delle persone. Manzoni si arresta e fa una breve osservazione: pare che l'oste il quale «in tutti i suoi discorsi faceva professione d'essere molto amico dei galantuomini in generale,... in atto pratico usava molto maggior compiacenza con quelli che avessero riputazione o sembianza di birboni». Evidentemente il bravo avea aspetto di birbone e Renzo di bravo giovane.
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