La stizza dunque è la forma estetica della paura.
Prendete ora il Manzoni e leggete il dialogo fra i bravi e don Abbondio. Alla dimanda del bravo, ed al vedere quel «piglio minaccioso ed iracondo», egli balbetta: - «Cioè...» - . Che cosa è che ha operato in lui? È quel modo di vestire, è il tono minaccioso, è l'aria di superiorità, è tutto quello che non imporrebbe per niente ad un uomo coraggioso, ma che opera su di lui e gli toglie la calma. Egli risponde infatti «con voce tremola», ed in tutto il dialogo fa de' discorsi incompleti, perché gli manca la forza di dar fine alle proposizioni. Ora avviene naturalmente che quando un uomo pauroso comincia a discutere, e sente che il più forte discute, ripiglia un poco di coraggio; e difatti don Abbondio, discutendo, verso l'ultimo si ripiglia un poco; quando poi, siccome pure aveva preso animo, l'altro compagno che non aveva ancora parlato, ricorrendo al ragionamento del più forte, ruppe il dialogo dicendo: - «Ma il matrimonio non si farà, o... - e qui una buona bestemmia, - o chi lo farà non se ne pentirà, perché non ne avrà tempo, e... - un'altra bestemmia».
Per un uomo che vive in una certa atmosfera civile, avvezzo a sentirsi rispettato, non c'è via per umiliarlo che usargli questo linguaggio.
Per vedere l'impressione che quel discorso ha potuto produrre sull'animo di don Abbondio riempite quelle lacune; dove dice «e qui una buona bestemmia» metteteci una bestemmia qualunque, per esempio «santo diavolo», parole usate da' Calabresi; ebbene don Abbondio rimane muto di spavento, non parla, l'impressione è stata violenta tanto, che l'altro bravo vede il bisogno di doverlo rassicurare e dice al compagno: * - «Zitto, zitto, il signor curato sa il vivere del mondo; e noi siamo galantuomini, che non vogliamo fargli del male quando egli abbia giudizio.
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