Voi vi ricordate quell'«ehm!...» che impressione ha fatta a don Abbondio; egli se lo sente ronzare sempre negli orecchi, e non se lo dimentica mai. Quell'«ehm» è il riassunto di tutto il dialogo, e non c'è cosa che faccia più impressione di ciò che non paia che dica nulla e dice tutto: quell’«ehm» infatti è il richiamare tutte le minacce fatte, è il ritornar al già detto riconfermando tutte le impressioni, è lo sguardo d'intelligenza che dice: - Tu mi capisci - , o - Noi c'intendiamo - . Questa parola d'intelligenza fa vedere che il bravo è già padrone della volontà di don Abbondio, è la parola che si rivolge ad una vittima. Quindi comprendete che il bravo non ha più bisogno di minacciare e però dice: - «Via, che vuol ella che si dica in suo nome all'illustrissimo signor don Rodrigo?» - .
- «Il mio rispetto...» - , risponde don Abbondio. E qui per istinto egli cerca di contentare i bravi, ma cerca una frase che non lo comprometta diversamente; onde il bravo ripiglia: - «Si spieghi, signor curato» - .
- «Disposto... disposto sempre alla ubbidienza» - . E così in questa meraviglia di dialogo vedete don Abbondio domato dalle impressioni esterne, che finisce per mettersi in mano a' bravi.
Qui il dialogo finisce; i bravi se ne vanno e don Abbondio prende la strada che portava a casa sua, «mettendo innanzi a stento una gamba dopo l'altra, che gli parevano ingranchite».
Mentre don Abbondio se ne torna con le gambe ingranchite a casa sua, l'autore usa l'intermezzo per aprire una digressione, e facendo una corsa storica in quei tempi, vi spiega don Abbondio.
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