Vedete ora come l'autore maneggia questo contrapposto. Per quanto grande è il bisogno di don Abbondio di confidarsi da una parte, dall'altra ci è quel terribile «ehm!...». Un uomo di proposito sceglie quello che deve fare, e lo fa; ma un uomo pauroso rimane indeciso e passivo, sicché finisce sempre per fare la volontà altrui.
Questa passività di don Abbondio si traduce in una sola parola.
- «Misericordia!» grida Perpetua, «che ha ella, signor padrone?» - «Niente, niente», - risponde don Abbondio.
Questa parola «niente» è caratteristica di quegli uomini, che hanno voglia di dir molto ma che per prudenza non vogliono parlare, e dicono: - Niente! - , ma chi lo dice sta già per palesare tutto. In lui ci è la natura che lo spinge a parlare, e la prudenza che gli ordina il silenzio; ma dopo un'insistenza di Perpetua egli ripete: - «Quando dico niente, o è niente, o è cosa che non posso dire» - .
Perpetua che sente «o è cosa che non posso dire», si mette «ritta dinanzi a lui, con le mani arrovesciate sui fianchi e le gomita appuntate», e dice: - «Vuol ella dunque ch'io sia costretta di domandare qua e là che cosa sia accaduto al mio padrone?» - .
Non c'era niente di più sicuro per far saltar don Abbondio dal seggiolone, che il sentire la nuova portata in giro, e grida: - «Per amor del cielo! non mi fate pettegolezzi, non mi fate schiamazzi: ne va... ne va la vita!» - .
Giunta a questo punto la scena diventa volgare, e però l'autore non la compisce, ma ne accenna la fine dicendo:
Fatto sta che don Abbondio aveva forse tanta voglia di scaricarsi del suo doloroso segreto, quanta Perpetua ne avesse di conoscerlo: onde dopo aver rispinti sempre più debolmente i nuovi e più incalzanti assalti di lei, dopo averle fatto più d'una volta giurare che non fiaterebbe, finalmente, con molte sospensioni, con molti ohimè!, le narrò il miserabile caso.
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