Non so se vi ha fatta impressione questa forma epica, quando l'autore dice: «con molti ohimè!, le narrò il miserabile caso», come se avesse narrato l'eccidio di Troia. E veramente per don Abbondio era stata quella la sua Iliade, e quando racconta il fatto a Perpetua lo dice poeticamente, come sta nella sua immaginazione esaltata.
A questo punto scoppia il contrasto tra i due caratteri, il carattere violento di Perpetua ed il pauroso di don Abbondio. - «Oh che birbone!» esclama Perpetua, «oh che soperchiante! oh che uomo senza il timor di Dio!» - . E don Abbondio: - «Volete tacere? o volete rovinarmi del tutto?» - .
Finalmente la scena si colorisce e si viene all'ultima spiegazione. Perpetua dice il suo parere con modo grossolano: - «E io ho sempre veduto che a chi sa mostrare i denti, e farsi valere, si porta rispetto; e appunto perché ella non vuol mai dir la sua ragione, siamo ridotti a segno che tutti ci vengono, con licenza, a...» - . Potete immaginare che porcheria ci voleva attaccare; e don Abbondio: - «Volete tacere?» - .
E Perpetua continua: - «Io taccio subito; ma è però certo che quando il mondo s'accorge che uno, sempre, in ogni incontro, è pronto a calar le...» - «Volete tacere?» - , ripeteva don Abbondio.
E qui vedete comparire in forma indecente in bocca a Perpetua il suo carattere violento.
Don Abbondio segue a far delle lamentazioni (egli è già diventato chiacchierone), non vuol saperne di cena, né del vino che gli acconciava lo stomaco; prende il lume, e brontolando si avvia per salire in camera.
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