Quando giunge in capo alle scale, quando già si era sfogato, sorge in lui novellamente la prudenza, ed in se stesso par che dica: - Oh! che ho fatto a parlare! - . Ond'è che si voltò indietro verso Perpetua, e mettendosi il dito sulla bocca, «disse, con tuono lento e solenne: - Per amor del cielo! - ».
Così finisce il capitolo.
Che cosa ho fatto io, o signori, in questa lezione? Ho fatto quello che in Inghilterra si dice una lettura; ho letto un capitolo del Manzoni e l'ho gustato con voi, per farvi sentire tutta la delicatezza delle situazioni de' personaggi del Manzoni. E capirete che a voler fare letture di questa fatta, io non la finirei; ond'è che dopo avervi fatto questo saggio, io [non] userò [più] questo metodo eccellente ad educare il gusto nel giudicare di un autore, e vi parlerò delle altre situazioni trasvolando su di esse; e voi dopo questa lezione sarete in grado di comprendermi a fior di labbra.
[Ne L'Era Novella 24-25 maggio 1872].
Lezione XV
[DON ABBONDIO]
Abbiamo lasciato don Abbondio con una frase in bocca, pronunciata in capo alla scala, dopo il dialogo con Perpetua: - «Per amor del cielo!» - .
A chi ha letto attentamente quel dialogo non gli è dovuto sfuggire un salto che v'è qui, tra le altre parole pronunciate antecedentemente da don Abbondio: - «Eh! ci vuol altro cerotto, ci vuol altro cerotto, ci vuol altro cerotto» - , e la frase: - «Per amor del cielo!» - . C'è un salto evidentemente; ma che cosa è successo di nuovo in quel frattempo? Non altro che don Abbondio ha voltato le spalle a Perpetua, e si è avviato per salire alla sua stanza da letto (le case in quel tempo, come ora ne' villaggi, erano divise in piani, ed avevano il salotto da pranzo a pianterreno, e la stanza da letto sopra). Quando don Abbondio è giunto in capo alle scale dice dunque: - «Per amar del cielo!
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