In due parole, l'artista coglie il mondo interno in un di fuori, il critico nel di fuori il mondo interno: l'uno, il critico, lavora dalla forma a risalire al mondo interno, l'altro dal mondo interno salta alla forma.
Applichiamo ora tutto questo alla frase: - «Per amor del cielo!...» - .
Ci siam dimandato in principio: - Che cosa è accaduto di nuovo in don Abbondio? - .
È accaduto che don Abbondio, salendo le scale, è fuori già delle impressioni esterne violente; è fuori delle pressioni di Perpetua, che gli ha cavato il segreto di bocca: l'immaginazione esaltata si è attutita, il bisogno di confidarsi è cessato, ed è sorta in lui novellamente la prudenza, ed egli dice in se stesso: - Che ho fatto! che bestia sono stato di confidare tutto a Perpetua, quella cicalona, in un affare che a divulgarlo ci va la vita! - . Don Abbondio si pente d'aver parlato. E notate che è naturale nelle persone timide il pentirsi d'aver fatto una cosa. L'uomo che non subisce la pressura delle impressioni esterne, e che fa di tutto per spezzarle con la coscienza di quello che fa, alla fin dei conti, quando rimane solo, anche che non le avesse superate, dice: - Ho fatto quello che ho potuto - ; e non se ne pente. L'uomo al contrario che subisce le impressioni esterne, ed è regolato da esse, opera senza coscienza e quasi fuori di sé, ond'è che dopo nasce in lui il pentimento di quel che ha fatto senza il concorso della sua volontà, e dice: - Che ho fatto! - . E voi sentite la veracità di questa posizione.
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