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      Per far tutto questo e per riuscirci, don Abbondio avrebbe dovuto snaturare se stesso: egli, noi lo sappiamo, non è dei «forti», ma de' «mezzi caratteri», egli è debole, ed è però capace di ricevere ma non di fare impressione; che anzi non ha forza di padroneggiare se stesso perché, parlando, avviene che c'è contraddizione tra le parole che dice e tutto l'accompagnamento di esse. Egli capisce che non può cacciar da sé l'impressione, ed il mistero scappa dalla faccia, da' suoi occhi grigi, che mentre parla vanno scappando qua e là, come se avesser paura d'incontrarsi con le parole che gli escono di bocca; da tutto il suo parlare insomma erompe il sentimento del segreto che invece di calmare Renzo, lo rende vieppiù sospettoso. Vi ricordate quando Renzo in gran gala, in abito da sposo comparve davanti al curato e disse: - «Son venuto signor curato, per sapere a che ora le convenga che noi ci troviamo in chiesa» - ? Ed egli che risponde: - «Di che giorno volete parlare?» - . Questo «far lo gnorri», come dicono i Fiorentini, è destinato decisamente a mettere in sospetto Renzo; don Abbondio scopre così le sue batterie fin dal principio. E ci è un momento quando il mistero è quasi svelato, quando Renzo par che si rabbonisca, e don Abbondio pigliando un po' d'animo dice: - «Eh!... quando penso che stavate così bene; che cosa vi mancava? Vi è venuto il grillo di maritarvi...» - .
      Ecco perché don Abbondio non riesce, per difetto di sangue freddo.
      Renzo infatti, che ha osservato la contraddizione tra le parole del curato, esce, tira da Perpetua de' mozziconi di frasi, per le quali si riconferma che c'è un mistero, torna e strappa dalla bocca di don Abbondio, come un cavadenti che gli strappasse un dente, il nome di don Rodrigo.


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La letteratura italiana nel secolo XIX
(Volume Primo) Alessandro Manzoni
di Francesco De Sanctis
pagine 420

   





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