Renzo se ne va dopo, e don Abbondio, rimane gridando: - «Perpetua! Perpetua!...» - .
Qui finisce quel che riguarda don Abbondio. Vi dico ora rapidamente i passaggi dei capitoli seguenti, per riafferrare questo personaggio al capitolo VIII.
Renzo, dopo il consiglio di Agnese, andò da quel tale dottore Azzeccagarbugli colle galline, e tornò, come sapete, senza aver concluso nulla. Il padre Cristoforo andò a parlare a don Rodrigo, e non concluse niente nemmeno lui; ond'è che Agnese pensa, ed insieme a Renzo risolvono di fare quel tale matrimonio di sorpresa. Tutto ciò portato largamente è materia di parecchi capitoli fino all'VIII, nel quale ritroviamo don Abbondio che leggeva una orazione del Borromeo e diceva: - «Carneade! Chi era costui?» - . Don Abbondio dunque rientra in iscena per la cospirazione di Renzo ed Agnese.
Questo capitolo VIII è comico per eccellenza; ma il motivo comico è differente da quello sviluppato finora.
La prima commedia (permettetemi che la chiami così) la prima commedia di don Abbondio è «commedia di carattere», perché tutto quello che avviene deve avvenire come conseguenza, poste quelle tali inclinazioni, posti quei tali caratteri individuali. Il capitolo VIII al contrario è «commedia d'intrigo», perché in esso entra il «caso» o «l'accidente», per il quale il corso ordinario delle cose è cambiato; e l'accidente è macchina finale.
Non intendete però l'intrigo della letteratura antica, dove l'accidente, od il Deus ex machina, sta come fatto straordinario capace di svegliar la maraviglia degli spettatori, e tener desta così la loro attenzione; ond'è che quegli scrittori abusavano dell'intrigo per quel fine.
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