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      ..; e, miei cari, c'è una osservazione profonda, che non v'è, cioè, uomo più pericoloso dell'uomo che ha paura.
      Quando un uomo pauroso è messo, come si dice, con le spalle al muro, è insolente, è feroce, diventa l'espressione di ogni sentimento plebeo. Ebbene don Abbondio oltrepassa appunto quello che un uomo freddo avrebbe fatto; quindi non si contenta di lanciar via tavolo, libri e lucerna, ma afferrato il tappeto, che copriva la tavola, lo gittò sgarbatamente sulla testa di Lucia, e parea che l'affogasse per impedirle di pronunziare intera la formola. E poi si ritira e nel coraggio della sua paura grida: - «Perpetua, tradimento, aiuto!» - . È questo un motivo comico, che mette chiaramente in vista il carattere di don Abbondio.
      Ma qui finisce don Abbondio in quanto rappresenta una parte principale; la sua Iliade finisce col capitolo VIII. - Renzo e Lucia vanno lontani; egli si è liberato e scomparisce dall'azione per ricomparire in seguito, quando il Borromeo si ritrova in quei dintorni a far la visita delle parrocchie: ond'è che don Abbondio, senza che se lo pensasse, si trova di nuovo mescolato negli avvenimenti.
      Ma qui il nostro curato è un accessorio oscuro e volgare, che sta sempre rannicchiato all'ultimo posto. - E qual è da quel punto in poi l'ufficio di don Abbondio? È un elemento comico ed allegro, che accompagna le altre figure del romanzo, come il Sancio Panza accompagna il don Chisciotte del Cervantes.
      È l'uomo volgare che guarda sempre il mondo con la sua lente, ed applica la sua filosofia a qualsiasi avvenimento: ed ora l'applica all'Innominato e dice: - «Costui! dopo aver messo sottosopra il mondo colle scelleratezze, adesso lo mette sottosopra colla conversione.


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La letteratura italiana nel secolo XIX
(Volume Primo) Alessandro Manzoni
di Francesco De Sanctis
pagine 420

   





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