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      .. Tanto che, quando son nati con quella smania in corpo, bisogna che facciano sempre fracasso. Ci vuol tanto a fare il galantuomo tutta la vita, come ho fatto io? Signor no...» - ; tal'altra guarda il Borromeo con la sua lente e dice: - E quest'altro che vuol fare il santo... «subito subito, a braccia aperte, caro amico, amico caro;... come se lo avesse veduto far miracoli;... a casa mia si chiama precipitazione. E senza avere una caparra di niente, dargli in mano un povero curato! questo si chiama giuocare un uomo a pari o caffo» - . È insomma il mondo esaminato dal punto di vista volgare, e tutto è fatto dall'autore per ridurre in proporzioni più convenienti a' lettori l'ambiente troppo elevato in cui vivono gli altri personaggi.
      Il comico in don Abbondio finisce quando finisce la paura. Quando egli ha la notizia della morte di don Rodrigo, quando se n'è proprio accertato, allora la paura cessa e vengono fuori le qualità amabili del suo animo: egli parla con Renzo, Lucia ed Agnese sugli stessi avvenimenti passati, e che furono cagione della sua paura, e ne parla scherzando, che anzi diviene spiritoso con le donne; il fondo buono di don Abbondio è venuto fuori! Questo però è il fine del comico di don Abbondio come individuo, ma non è il fine del comico ch'egli rappresenta dirimpetto all'arte, perché egli significa oltracciò la borghesia fiacca ed ipocrita messa in caricatura.
      Il romanzo è la rappresentazione di un ordine morale-religioso, accanto del quale sta il mondo corrotto, ch'è il comico rappresentato da don Abbondio: e sorge come negazione del primo il mondo malvagio rappresentato dall'Innominato e da don Rodrigo.


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La letteratura italiana nel secolo XIX
(Volume Primo) Alessandro Manzoni
di Francesco De Sanctis
pagine 420

   





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