Questi due sentimenti cozzanti fra di loro si appalesano sulla sua faccia con una smorfia, con un versaccio, che don Abbondio nascose, chinando profondamente la testa in segno di ubbidienza. Questo versaccio è l'espressione de' due sentimenti, ch'egli non può contenere, perché spontaneo.
È sincero, e la sincerità è la prima qualità del personaggio poetico. Don Abbondio infatti non ha vergogna della sua paura, perché egli la sua non la definisce paura, ma prudenza, modo di sapersi ben condurre per non avere brutti incontri, vivere da galantuomo ecc.; ed è così persuaso di questo, che quando gli capita il destro, non manca di far lezioni sul modo di condursi nella vita, e ne fa a Renzo, ad Agnese, e non contento di questo applica la sua filosofia a personaggi più grandi come il Borromeo e l'Innominato. È semplice, e quando pure egli vede che la sua è paura, non ammette che ciò sia difetto; e voi vi ricordate che nel dialogo fra lui ed il Borromeo egli voleva dire che ciò che aveva era una cosa necessaria, quando diceva che «il coraggio uno non se lo può dare».
Don Abbondio, o signori, non ha bisogno d'esser dipinto, egli si dipinge da se stesso, è il proprio artista, ed in lui l'artista è superiore all'uomo. Come uomo è spregevole, è comico, ma non è un Pulcinella: egli si presenta con la sua zimarra e col suo bastone, con modi composti; è un uomo che ragiona, e poiché in terra coecorum beato chi ha un occhio, egli è dottore nel villaggio, ed ha intelligenza abbastanza per non essere dichiarato sciocco, e ragiona delle volte con molto buon senso, sicché a sentirlo parlare voi ve ne formate una idea migliore di quella che vi formereste a vederlo in azione, quando è un dappoco.
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