Ma qui muta la scena; comparisce il frate senza smarrirsi, senza guardare, e col contegno che diceva di non essersi fatto frate per timore umano, e tutto ciò gli concilia l'animo degli spettatori. Egli come vide il fratello dell'ucciso, affrettò il passo e gli si pose a' piedi in ginocchioni, e voi vi rammentate le parole commoventi che egli dice.
Qui dunque la scena si cambia; colui che pensava di assaporare in quel giorno la triste gioia dell'orgoglio, dovette quel giorno esser ripieno della gioia serena del perdono e della benevolenza. Ogni qualvolta, o signori, il mondo vero e vivente si trova di rincontro al mondo artificiale, lo turba e lo sconvolge; ed il fratello dell'ucciso infatti dopo le parole del padre Cristoforo, invece di fare l'apologia dell'ucciso, cerca scusarlo al cospetto del frate, dicendo con parole che gli escono smozzicate: - «Mio fratello... non lo posso negare era un cavaliere... (e notate che poi corregge) era un uomo un po' precipitoso... un po' vivo ecc.» - . Quella frase corretta, quel parlare a frasi rotte, quel volere scusare l'ucciso v'indica che il trionfo è del padre Cristoforo.
Ed andando più innanzi, voi trovate lo stesso quadro, ma in più grandi dimensioni, voi vi trovate in presenza de' due don Rodrighi, in quella scena che avviene nel palazzotto del vero don Rodrigo. Secondo le apparenze chi ha vinto, chi ha perduto? Vedendo il padre Cristoforo sotto le insolenze abbassare la testa e rimanere immobile e ricevere la gragnuola che gli manda il suo avversario, apostrofandolo di villano temerario, e di poltrone incappucciato; il vinto, direte voi, è stato il padre Cristoforo?
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