In effetti, o voi non distinguete nel vostro lavoro lo storico dall'inventato, ed allora in che modo può esso darvi una rappresentazione esatta di un'epoca? o voi riuscite a segnare una differenza tra la storia e l'invenzione, e allora l'unità del componimento è rotta; i due elementi non saranno compenetrati insieme, rimarranno l'uno accanto all'altro; avrai un genere ibrido, non storia, non romanzo. Le conclusioni sono giuste; ma le premesse sono false.
È egli vero che il romanzo storico si proponga di farci conoscere un'epoca? Ma niente ci è che sia più repugnante alla natura della poesia.
La poesia è messa tra due estremi, tra la scienza e la storia, cioè tra l'idea e il fatto. L'idea ed il fatto separatamente presi sono due astrazioni; ciò che esiste è l'idea vivente, l'idea fatto. Ma l'idea non si realizza tutta nel fatto; considerata nella sua purezza ella si presenta a noi come tipo o esemplare, di cui non vediamo tutti i caratteri effettuati nel reale. Di qui il bisogno di una terza cosa - la poesia, la quale opera la conciliazione fra i due termini, trasformando il reale, spogliandolo di ciò che ivi è repugnante o indifferente, e conformandolo con l'idea; cioè a dire idealizzando il reale. Così la poesia trasforma l'idea in ideale ed il corpo in fantasma o idolo. Ciò posto, in che modo la poesia potrebbe proporsi per iscopo di rappresentare il reale? Gli è un domandarle che rinneghi se stessa; gli è come dire all'acqua: - Io ti permetto che tu mi caschi su, ma col patto che non mi bagni - . Il romanzo storico non può dunque avere per iscopo la conoscenza della storia.
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